Le piattaforme petrolifere italiane non pagano nemmeno l’Imu! Pur essendo situate entro le dodici miglia dalla costa, ovvero in territorio nazionale, questi lembi aggiunti d'Italia erano stati in pratica “dimenticati” dai legislatori. Glielo ha ricordato un piccolo comune abruzzese, Pineto degli Abruzzi, che ha vinto nei giorni scorsi la battaglia contro il gigante Eni. Quelle quattro piattaforme petrolifere davanti alla spiaggia devono pagare, come qualsiasi immobile industriale che insiste sul territorio comunale. Lo ha stabilito la Cassazione, che ha accolto il ricorso del comune abruzzese contro le sentenze delle commissioni tributarie (sic!) che avevano esentato l'Eni per "Fratello Nord", "Fratello Est 2", "Fratello Cluster" e Squalo, i nomi dati agli impianti per l'estrazione degli idrocarburi. L’Imu da pagare sulle piattaforme sancisce che, forse, il “Grande Fratello” ha ricevuto un bel colpo e che si è riconosciuta la sua effettiva qualifica di Squalo a meno di due mesi dal referendum anti-trivelle. La sentenza è un precedente che fa giurisprudenza, ed è in grado di orientare i ricorsi che decine di Comuni hanno depositato contro i giganti energetici, come nel caso della piattaforma Vega nel mare siciliano, dove la Guardia di Finanza aveva contestato ai gestori Eni e Edison un'evasione da 30 milioni di euro. Sono 106 le piattaforme censite dal ministero dello Sviluppo economico in acque italiane: un tesoro fiscale per gli enti locali, tra imposte e interessi. La battaglia di Pineto è iniziata nel 1999 ma non si è ancora veramente conclusa. Ora che si è stabilito che anche gli immobili non accatastabili sono imponibili, bisognerà accertare la misura dell’imposizione. La Cassazione rimanda ai .valori contabili e non alle stime di mercato. Dipenderà quindi dai bilanci l'ammontare dell’imposta da pagare. E le cifre contestate potrebbero subire drastiche riduzioni. Magari dalle scritture contabili si evincerà che le piattaforme sono un business quasi in perdita. Pertanto perché trivellare ancora?
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