La prestigiosa rivista scientifica “Marine Biology” ha pubblicato un articolo basato su cinque anni di monitoraggio estivo (2007-2011) di cetacei nel Tirreno Centrale arrivando al risultato che le balenottere utilizzano la regione come area di alimentazione.
La balenottera comune è il secondo animale del pianeta per dimensioni, dopo la balenottera azzurra (non presente nel Mediterraneo) e si ciba di zoopancton e piccoli pesci e cefalopodi. Nel Mediterraneo è considerata una specie vulnerabile la cui popolazione è in declino.
Lo studio premette come la frequenza di avvistamento di balenottere nel Tirreno Centrale sia aumentata di tre volte rispetto a venti anni fa e di come quest’ aumento non sia stato osservato in nessuna altra parte del Mediterraneo; al contrario, nel Santuario Pelagos altri recenti studi hanno evidenziato una drastica diminuzione di avvistamenti nello stesso lasso di tempo.
Lo studio nel Tirreno Centrale ha messo in relazione le concentrazioni nelle acque marine di clorofilla CHL, che è legata alla presenza di fitoplancton (nutrimento primario per zooplancton e piccoli pesci), con gli avvistamenti di balenottera. Nei cinque anni di studio gli avvistamenti delle balene erano distribuiti unicamente dove maggiore era la concentrazione di clorofilla.
Lo studio giunge alla conclusione che la regione del Tirreno Centrale si è trasformata, con il cambiare delle condizioni oceanografiche, da area di passaggio ad area di alimentazione per le balene del Mediterraneo.
Lo studio (realizzato da ISPRA, Accademia del Leviatano ed Università Sapienza di Roma), evidenzia l’importanza della protezione di questa regione habitat critico per la balenottera. Lo studio fa parte di un network di ricerca transfrontaliera (del quale fanno parte anche CIMA, GIS3M, KETOS, AMP Capocarbonara) che monitora i cetacei lungo le principali rotte marittime utilizzando traghetti come piattaforme di osservazione ed è stato reso possibile grazie alla collaborazione di Corsica-Sardinia Ferries e Grimaldi Lines che hanno ospitato i ricercatori a bordo delle loro navi e della Fondazione CARICIV che ha parzialmente finanziato la ricerca.
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