Per perdere tempo e non decidere nulla, l'Italia ha spesso utilizzato una strada: nominare una commissione. Magari con un grande convegno finale nel quale chiunque poteva prendere la parola. Con un solo vero obiettivo: fornire al politico di turno l'alibi per poter procedere come più gli aggradava. Così è stato anche per i Piani generali dei trasporti. Solo il Piano della logistica del 2005 era stato il risultato di un patto condiviso dalle parti sociali. Poi più nulla. Ora siamo tornati all'antico, come conferma la riunione degli «stati generali» convocata ieri a Roma per presentare le «rotte» indicate da un comitato di esperti in un nuovo documento sul Piano della logistica dei porti. Piano tracciato ancora una volta dimenticando che la logistica è un quadro globale che mette a sistema le diverse modalità di trasporto e le integra con la filiera della produzione e che, come tale, va esaminato. I porti rappresentano una pedina sulla scacchiera del sistema logistico da scegliere secondo la capacità (dai fondali ai collegamenti internazionali, che sono criteri essenziali) e non perché puntano ad aumentare gli spazi per movimentare i container, già oggi più che sufficienti, ma piuttosto perché seguono i principi europei in materia di servizi tecnico nautici e per chi sbarca, di rispetto della sicurezza, di spazi per gestire le autostrade del mare. Tutto questo non è emerso con chiarezza nel convegno degli «stati generali» al quale le parti interessate sono state invitate per presentare le proprie osservazioni alle nuove linee guida per la logistica dei porti. Osservazioni da valutare entro quattro giorni dal ricevimento di quattro sintetici fogli riassuntivi del nuovo piano e da esporre, al convegno, in cinque minuti: il vero obiettivo era far fumo e lasciare ai politici la decisione su un «arrosto già pronto»?
Paolo Uggè, presidente Fai Confrasporto, vicepresidente Confcommercio
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