La crisi industriale tedesca si chiama ora anche Reno e lo sforamento verso il basso nel livello di guardia del grande fiume, prosciugato dalla siccità, da un lato sta mettendo in crisi il sistema di approvvigionamento logistico nord europeo, dall’altro sta schiudendo potenzialità insperate per il Mediterraneo e la portualità italiana, che richiedono oggi e non domani una consapevolezza nuova e una capacità di coglierle.
Ad accendere i riflettori su un quadro complessivo della logistica europea, scarsamente noto in Italia e invece fonte di forte preoccupazione in Germania, è Alessandro Santi, il Presidente della Federazione italiana degli agenti e raccomandatari marittimi (Federagenti): BASF e Thyssengroup, due campioni dell’industria tedesca, in queste ultime settimane stanno subendo le conseguenze gravissime di una drammatica crisi nella catena di approvvigionamento delle materie prime essenziali, accompagnata da un’escalation dei costi cresciuti da 20 €/ton a 110 €/ton. L’impatto sul PIL del paese potrebbe risultare devastante: secondo il think-tank Kiel Institute nel 2018, anno in cui si la Germania aveva subito le conseguenze di una siccità paragonabile anche se inferiore a quella attuale, si è registrata una flessione dello 0,4% del PIL. Il Governo di Berlino ha già imposto alle ferrovie di garantire la priorità al traffico delle materie prime rispetto a quello passeggeri su linee ferroviarie oggi congestionate.
Le ferrovie tornano a essere la cura, parziale, per il grande malato: il fiume Reno. Fiume il cui livello negli ultimi dieci giorni è piombato 30 centimetri sotto il livello di guardia nel suo tratto più stretto e a minor pescaggio a Kaub (a ovest di Francoforte); tratto che rappresenta di fatto un collo di bottiglia la nervatura fluviale strategica del sistema logistico del centro Europa: 160 milioni di tonnellate nel 2020 trasportate lungo i 1.300 km che scorrono tra la Svizzera e l’Olanda; per la Germania circa un terzo del carbone, del petrolio e del gas oltre a quantità importantissime di tutte le materie prime essenziali per la sua industria pesante e agroalimentare.
La Germania e l’Olanda insieme rappresentano circa il 70% del traffico merce fluviale in Europa. L’Italia è terzultima in Europa con solo 0,04%. “Ma oggi – sottolinea Santi – tutto potrebbe cambiare: quella che è stata la forza per Paesi dotati di ‘deep sea port’ ma anche di un potente reticolo fluviale, permettendo di sviluppare una potente politica industriale (la Germania in primis a partire dalla Prima rivoluzione industriale) potrebbe diventare un punto di criticità negli anni a venire”.
“Con il perdurare di una crisi climatica che rende sempre più frequenti stagioni di siccità – afferma il Presidente di Federagenti – l’Italia, con 8.500 km di costa e con uno status di porto diffuso che non ha mai fatto valere sullo scacchiere internazionale, può tornare a giocarsi le sue carte nello scenario logistico europeo: porti e retroporti efficienti, investimenti su insediamenti industriali e produttivi nelle aree portuali, con l’implementazione concreta delle ZES/ZLS potrebbe rappresentare una chiave strategica e molto più ambientalmente sostenibile per affrontare i prossimi decenni di un mondo economico che anche dal punto di vista geo-politico sarà completamente nuovo”.
“Ma nulla accade automaticamente – conclude Santi – e una valorizzazione strategica del mare e della portualità italiana devono transitare per una nuova necessaria consapevolezza della politica nazionale chiamata a tralasciare forme distorte di agire pratico e a puntare sulla sostanza: Federagenti un anno fa, che sembra infinitamente lontano – conclude – aveva invocato l’istituzione di un ‘gabinetto di guerra’; oggi da più parti si promuove un Ministero del Mare: “poco importa la forma, importanti saranno i poteri che verranno conferiti e garantiti per attuare una vera e seria politica del mare”.
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