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Libri: Mini Transat di Andrea Pendibene

libri mini transat di andrea pendibene
Inbar Meytsar

Aspettavo da tempo questo libro. Ho seguito Andrea da vicino nelle sue peripezie che lo hanno portato a realizzare questo suo sogno: la Mini Transat. Questo libro è la testimonianza di un ragazzo che combatte con i denti per la realizzazione dei suoi sogni. Fa sacrifici e salti mortali, ma alla fine ce la fa, con l'aiuto della famiglia, degli amici, dei sostenitori più appassionati. Andrea adesso è un uomo di 27, un CV nautico e professionale da applauso e tante soddisfazioni ancora da regalarci. Vai Andrea!

Da La Rochelle, in Francia, a Salvador de Bahia, in Brasile: 4.200 miglia di oceano in solitario, a bordo di una barca a vela di soli sei metri e mezzo. Andrea Pendibene è stato il più giovane italiano ad aver partecipato, nel 2007, alla Transat 6.50, la regata per solitari che attraversa l’Atlantico dall’Europa al Sud America, meglio nota come Mini Transat, proprio perché riservata alle piccole imbarcazioni della classe Mini. Un banco di prova obbligato per i giovani che ambiscono a entrare nell’élite dei grandi solitari oceanici.
Mini Transat è l’avvincente diario di bordo della regata, fra i pericoli e le difficoltà della navigazione in solitario, i venti contrari, l’incognita del pot au noir, il ‘pozzo nero’ compreso tra sette e cinque gradi Nord di latitudine, dove piatte estenuanti si alternano a temporali e groppi improvvisi. Ma il diario di Andrea Pendibene è anche il racconto delle tante difficoltà superate per riuscire a partire: una sorta di guida per i tanti giovani che coltivano lo stesso sogno ma che, come lui, devono riuscire a trovare i mezzi per poterlo realizzare.

L'AUTORE::
Andrea Pendibene, nato nel 1981, ha studiato architettura nautica a Londra e poi ha bruciato le tappe nella preparazione per la Transat 6.50.
È arrivato quarto alla Mini Lion, quinto e più giovane in assoluto ad aver concluso la Fastnet Race Uk 2007 e primo alla Regata dei Cetacei 2007. Sogna di continuare a regatare in oceano.

IL BRANO:
Ci trainano fuori alle sette, passiamo la chiusa con un pubblico numeroso e poi ci mollano fuori dalla diga. Bisogna bordeggiare fino alle dodici, ora dello start, stando attenti ad altri ottantanove Mini e agli spettatori. Dopo un paio di bordi decido di mettermi alla cappa e aspettare in pace, preparando il vestiario, il Gps, insomma un po’ di riti. Esce il gommone della barca giuria e lo seguo. Non faccio molta fatica: sono con la sola randa con una mano e faccio sette nodi in poppa. Posizionano la linea e il disimpegno. Mi piazzo alla cappa, sopravento alla barca giuria, mure a dritta.
Iniziano la procedura con gli otto minuti, poi cinque, poi quattro. Mi infilo sopravento, ho un attimo di esitazione, scado sottovento, ma parto molto bene. Davanti a me un groviglio di tre barche incastrate con le crocette e volanti che ruotano su sé stesse: le evito e parto con una mano e solent. Il vento è sui venti nodi, il mare piatto, cerco di bordeggiare al meglio, ma arrivo alla boa tra gli ultimi. Mi ripeto: sono solo altre milletrecento miglia!
Passata la boa decido di issare il gennaker invece dello spi e rimanere un po’ più alto degli altri per passare tra île d’Oléron e île de Ré. Appena partiti mi interrogo sulle mie scelte iperconservative ma mentre procedo tra le onde oceaniche e quelle della mia ansia vedo qualche barca rientrare…
I primi due giorni sono nel gruppo: sento gli altri molto bene al Vhf, segno che non sono oltre venti miglia di distanza. Inizio a prendere il ritmo e a scandire le lunghe giornate in base ai ritmi fisiologici e alle necessità dell’imbarcazione. La discesa sino a capo Finisterre sarà un lungo bordo con poca aria e continui cambi di vele: frullone, spi, gennaker. Fortuna che il rollgen mi semplifica la vita.
Davanti al capo che precede il golfo di La Coruña una grande piatta mi avvolge e l’unico modo per avanzare è puntare dentro il golfo.
Non so se per colpa del sottoscritto, della barca non progettata per condizioni mediterranee o per una grandissima cazzata, impiegherò due lunghi giorni per uscire da quella trappola infernale con correnti micidiali, nebbia e piatte. In totale assenza di vento ho dovuto bordeggiare con il frullone per creare del vento apparente con il solo risultato di fare grandi bordi piatti.
Inoltre, come ciliegina sulla torta, c’è una rail, una tratta stabilita per i cargo, un passaggio obbligato per il traffico tra il Nord Europa e il resto del mondo. Una zona di trenta miglia per venti in cui ci sono canali da rispettare con orari, per tipologia di nave, carico e velocità, praticamente una roulette russa.

Arrivo, mi scorta dentro Fred, un collaboratore della federazione che mi aiuta a ormeggiare insieme a una sua collaboratrice.
La sera stessa c’è una festa: decido di andarci ma poi preferisco dedicare un po’ di attenzione a colei che mi ha traghettato al primo traguardo pulendola, ordinandola e coccolandola. Il suo dovere lo ha fatto ora tocca a me ricambiare! Non vorrei che si offenda, c’è ancora un oceano da attraversare.
Non ci credo, ho fatto 350 miglia da La Rochelle a capo Finisterre e altre 750 per arrivare a Madeira. È iniziata, sono dentro una grande avventura ricca di fascino e belle sorprese, anche se il meglio deve ancora venire.
Mi aspettano 3.200 miglia sino a Salvador de Bahia, attraversando l’equatore.


27/10/2008 11:08:00 © riproduzione riservata






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