L’export alimentare italiano può aumentare dagli attuali 26 miliardi a 70 miliardi di euro nello spazio di circa 10 anni ed il food made in Italy può uscire dalla catalogazione di nicchia per diventare un prodotto acquistato quotidianamente o quasi. E’ quanto emerge dalla seconda giornata di Cibus, che ha dato spazio al rapporto tra produttori alimentari e grande distribuzione, italiana ed estera.
Per esportare di più, le strategie sono diverse, come ha dichiarato Antonio Cellie, Ceo di Fiere di Parma, intervenendo al convegno sulla promozione del made in Italy organizzato da Gruppo Food e Fiere di Parma: “Noi di Cibus abbiamo pensato che la cosa migliore fosse portare le imprese italiane ad incontrare i buyer della distribuzione estera direttamente dentro i loro punti vendita. E di questo rapporto diretto hanno beneficiato sia le imprese sia Cibus”. Oltre alla grande apertura registratasi nei mercati europei ed americani è indubbio che la domanda di food made in Italy sia prepotente anche dall’Asia, e quindi dal Giappone, dove il prodotto italiano è già molto conosciuto, ma anche dalla Cina e da tutti i Paesi del Sud Est Asiatico. “Co-organizzeremo la grande fiera alimentare di Pechino in novembre – ha detto ancora Cellie – portando almeno 300 imprese italiane ad esporre, grazie alla partnership con Anuga/Fiera di Colonia e Federalimentare, replicando quindi la partecipazione di successo alla fiera alimentare di Bangkok lo scorso anno. E questo modello andremo a seguire ed ampliare nei prossimi mesi, cioè sostenere i nostri clienti all’interno delle fiere più consolidate nei mercati obiettivo non dispendendo risorse in costose start up o rischiose acquisizioni.”.
Nel corso del convegno citato è stata presentata una ricerca della Bain&Company sull’export italiano in cui è stato ricordato che la classifica dei Paesi che importano quote maggiori di cibo italiano vede nell’ordine: Germania, Usa, Francia, Regno Unito, con una crescita notevole di Cina, Russia e Brasile. “Va ricordato che l’Italia esporta un prodotto di qualità – ha sottolineato Andrea Petronio di Bain&Company – e quindi analisi e paragoni devono tener ben presente questo dato. Il consiglio alle imprese italiane è quello di individuare i mercati prioritari, evitando dispersioni, di studiare bene i comportamenti di consumo locali, e di individuare il modello distributivo più confacente, scegliendo tra un intervento nel nuovo mercato tramite distributori locali, oppure tramite partnership locali, oppure con un rapporto diretto ed autonomo”.
Un’altra opportunità per presentare e vendere il food italiano è dato dal web e dal commercio elettronico. Per esempio in Giappone opera “Shop Italia Mia” per acquistare i prodotti italiani, mentre l’applicazione “Be my eye” consente a qualsiasi consumatore di diventare un “occhio” per le aziende che vogliano verificare in Italia e all’estero il posizionamento sui punti vendita del proprio prodotto o le caratteristiche delle proprie categorie.
Al convegno sono intervenuti i manager commerciali di diverse catene estere, tra cui la Central Food Retail della Tailandia, la Hakuhodo del Giappone e Metro Canada, che hanno confermato la grande domanda del prodotto alimentare italiano.
Presente oggi a Cibus Andrea Olivero Vice Ministro per le Politiche Agricole che ha detto nel corso di un incontro stampa che “i dati positivi che emergono nei primi due giorni di Cibus rappresentano un’ottima prova generale per Expo 2015”. Il Vice Ministro ha anche ribadito l’intenzione del Governo di lanciare un marchio “made in Italy” ed ha annunciato una piattaforma realizzata tra Ministero, Google e l’Associazione dei Consorzi di Tutela Aicig: poiché risulta che il food è la categoria maggiore delle ricerche alla voce “made in Italy”, è stato inserito un atlante-sul sito www.google.it/madeinitaly-in cui sono inseriti tutti i prodotti certificati.
Tra i tanti segnali positivi che provengono da Cibus c’è la partnership tra Slow Food ed una nota casa produttrice di parmigiano reggiano che porta sugli scaffali della grande distribuzione un abbinamento tra parmigiano e prodotti “presidi” di Slow Food, come le composte di agrumi, il miele ed altro ancora.
Grande interesse ha suscitato il convegno “Horizon” organizzato da Federalimentare da cui è emerso che l’Italia produce forse il cibo migliore del mondo, ma moltissime imprese non riescono a trasformare come potrebbero la qualità in competitività. La sfida è riuscire a innovare i processi produttivi per restare al passo con i cambiamenti nelle tecnologie, nelle normative, nelle preferenze dei consumatori. Allo stesso tempo, c’è un settore forte della ricerca pubblica che lavora nell’agroalimentare, ma fa fatica a collaborare con le imprese per affrontare le sfide del mercato.
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