Gli attivisti di Greenpeace sono entrati in azione in queste ultime ore contro il colosso mondiale del tonno in scatola, Thai Union Group, chiedendo all'azienda di usare solo tonno sostenibile e di tutelare i diritti dei lavoratori lungo tutta la filiera produttiva.
Azioni dimostrative sono state fatte in molte parti del mondo, dagli USA al Regno Unito, alla Thailandia fino all’Italia, dove, a Milano, davanti al quartier generale di Mareblu, uno dei principali marchi di tonno del mercato italiano per volumi e vendite, di proprietà proprio di Thai Union, attivisti travestiti da squali hanno protestato con delle finte scatolette di tonno Mareblu con il logo sporcato di sangue e la scritta "Tonno al sangue di squalo". Sui cartelli diversi messaggi diretti al marchio italiano: "Svuoti il mare per una scatoletta di tonno", "Tieni giù le mani dalla mia casa" e "Sulla pesca sostenibile solo promesse da marinaio". "Mareblu ha tradito la nostra fiducia - – ha dichiarato Giorgia Monti, responsabile dalla campagna Mare di Greenpeace Italia - e nonostante i proclami degli ultimi anni e gli spot pubblicitari, non ha fatto nulla per mantenere gli impegni presi. In soli tre giorni, già 12 mila persone hanno firmato la nostra petizione per chiedere a Mareblu di rispettare le sue promesse. I consumatori vogliono che il tonno che arriva nelle loro scatolette provenga da una pesca sostenibile e che non distrugga i nostri mari. Nel 2012 Mareblu si era impegnata a raggiungere la completa sostenibilità del proprio tonno entro il 2016, ma ancora oggi continua a usare principalmente metodi di pesca distruttivi- prosegue la Monti - e solo nello 0,2 per cento delle sue scatolette finisce tonno pescato con metodi selettivi come la pesca a canna, il resto viene per lo più pescato con enormi reti a circuizione accoppiate a sistemi di aggregazione per pesci (FAD). Si tratta di sistemi che svuotano i nostri mari, uccidendo ogni anno migliaia di esemplari giovani di tonno (baby-tuna) e altre specie marine, tra cui squali e tartarughe Come se non bastasse la sua casa madre, Thai Union, è stata recentemente collegata a gravi violazioni dei diritti umani lungo le proprie filiere”.
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