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NAUTICA

Albertoni (Ucina): "Queste le priorità per rilanciare la competitività italiana"

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Adria Pocek e Paola Fusco

Infrastrutture portuali, servizi di qualità, misure fiscali e rispetto dell’ambiente: è questa la scaletta di priorità che Anton Francesco Albertoni, presidente Ucina, suggerisce all'Esecutivo per rilanciare l’industria nautica italiana.

Presidente, quali sono le criticità che il settore da lei rappresentato si trova a fronteggiare?

Come già emerso in occasione della nostra convention nazionale a Palermo, il mercato della nautica italiana deve recuperare competitività. I numeri dimostrano che l’industria è sana. Abbiamo infatti calcolato in una forbice tra il 12 e il 14 per cento l’indice crescita del 2007 sull’anno precedente, però il mercato lo è meno, perché ci sono aziende che esportano più dell’80 per cento del loro prodotto. Dobbiamo inoltre confrontarci con i Paesi emergenti nel panorama del diportismo nautico, come la Croazia, la Turchia, nuove concorrenti che si aggiungono alle “storiche” Francia e Spagna.
Credo che la competitività si possa recuperare attraverso la disponibilità di strutture, infrastrutture, servizi di qualità e interventi sulle misure fiscali.
Mentre nei nostri porti i servizi vengono gravati di un Iva del 20 per cento, c’è un paese che ha una franchigia entro la quale i servizi erogati all’interno di un porto turistico non pagano Iva. La franchigia è fissata a 27.000 euro, un importo ragguardevole oltre il quale viene applicata un imposta pari al 6 %; non sto parlando di un lontano paradiso fiscale, ma della Francia, la cui legge prevede inoltre l’equiparazione delle strutture portuali alle classiche strutture ricettive e turistiche.
Questa è una questione fondamentale che nell’ultimo mese abbiamo sottoposto all’attenzione del Governo, affinchè i porti vengano almeno equiparati alle altre strutture turistiche, che pagano un’Iva del 10 %. C’è poi il problema dei canoni demaniali iniqui rispetto agli altri Paesi europei: nel 2006, con la finanziaria per l’anno successivo, sono stati aumentati del 300% mentre per altre attività a vocazione turistica come gli stabilimenti balneari, sono bloccati da oltre dieci anni!
Eppure gli investimenti per la realizzazione di un porto turistico sono ben più onerosi rispetto a quelli per uno stabilimento! Credo che dovrebbero essere stabiliti canoni demaniali almeno pari a quelli degli altri Paesi membri Ue.

Dal punto di vista delle infrastrutture e dei servizi, come si presenta la situazione attuale?

Di recente abbiamo presentato la prima parte di uno studio per il recupero della portualità mercantile che oggi in Italia è in gran parte sottoutilizzata. Il documento è stato redatto in collaborazione con Legambiente e Assoporti, l’associazione che riunisce le 25 autorità portuali italiane. Lo studio tiene dunque conto dell’aspetto ambientale, delle questioni del potenziamento delle strutture legate alla nautica da diporto e le necessità del settore mercantile-crocieristico, anch’esso in grande espansione. Abbiamo fotografato la situazione contando più di 39.000 posti barca ricavabili presso porti già esistenti di terza e quarta classe, porti mercantili sottoutilizzati. Strutture che, presentando specchi d’acqua, non necessitano dell’intervento oneroso della difesa a mare. All’interno di questi spazi protetti sarebbe sufficiente realizzare dei pontili galleggianti. Il completamento dello studio lo presenteremo a ottobre in occasione del prossimo Salone nautico a Genova.

La politica dovrebbe quindi mettere a fattor comune l’esistente perseguendo la razionalizzazione della spesa…

Certamente. Tra le richieste avanzate al Governo c’è anche un punto che riguarda l’ambiente: 8.000 km di coste sono un patrimonio prezioso, non c’è dubbio. Le aree marine protette nel nostro Paese sono circa 30 e occupano giustamente i luoghi più belli, ma noi vorremmo che fossero fruibili dalla nautica da diporto perché è inutile conservare l’ambiente se poi resta inaccessibile all’uomo e al turismo.
Servono regole chiare e uniformi su tutto il territorio nazionale; al momento della sua istituzione ogni area protetta ha emanato un proprio regolamento, come se il codice della strada prevedesse in un paese che il rosso vieta il passaggio e in un altro che lo stesso colore indica il via libera!
Più di un anno fa abbiamo preso parte a un tavolo tecnico del Ministero dell’Ambiente e in quella sede abbiamo sottoscritto, insieme a tutte le associazioni ambientaliste, un protocollo d’intesa per far sì che si raggiunga l’uniformità dei regolamenti. Oggi dobbiamo compiere un ulteriore passo: la legge quadro sulle aree marine protette è obsoleta e gli stessi ambientalisti si dicono pronti a discuterne, quindi speriamo che il nuovo ministro si attivi per una revisione.

Chi sono dunque i vostri principali interlocutori?

Il ministero dello Sviluppo economico è “l’ombrello” naturale per le nostre richieste mentre il ministero delle Infrastrutture è storicamente il nostro ente di riferimento, perché molte sono le materie di sua competenza che dovremmo sviluppare.
Nel 2003 da questo Ministero ottenemmo la Legge 172 sulla nautica e nel 2005 il Codice della Nautica da Diporto, due provvedimenti che hanno regalato importanti risultati al settore, ma ora dovremmo fare un ulteriore passo verso la locazione, il noleggio senza equipaggio, per cui manca una normativa adeguata. Si darebbe impulso a un settore della nautica che in questo momento sta soffrendo; inoltre affittando un’imbarcazione di piccole dimensioni ci si avvicina al mondo della nautica gradualmente.
Ma torno ancora una volta a parlare di recupero della competitività: in alcuni Paesi, come l’Inghilterra, c’è un regolamento per i super yacht che ne facilita l’immatricolazione sotto bandiera inglese con un grande potenziale di indotto. Secondo i dati del Censis una grande imbarcazione lascia ogni anno sul territorio circostante il suo punto di ormeggio circa il 10% del valore della barca in servizi di manutenzione, posti di lavoro per gli equipaggi e tutto ciò che può servire all’imbarcazione. Ritengo quindi che per queste grandi barche servirebbe un regolamento appropriato, che si ispiri a quelli già applicati da altri Stati dell’Ue.

Come stanno andando i primi passi nel dialogo con l’Esecutivo?

Già con il precedente Governo Berlusconi erano stati fatti dei passi avanti, come la già citata Legge 172, il Codice, il Leasing, tutte cose importanti messe a segno negli anni scorsi. Oggi i primi contatti preannunciano la disponibilità dell’Esecutivo e la presa di coscienza che la nautica italiana è un’industria importante che dà lavoro a più di 34.500 lavoratori dipendenti diretti con un contributo al Pil superiore ai 5 miliardi di euro. Un’industria moderna, una vera industria del "made in Italy".

Chi taglierà il nastro quest’anno al Salone Nautico di Genova?

Noi speriamo il presidente del Consiglio, ma anche il ministro dei Trasporti o dello Sviluppo economico sono candidati a tenere le forbici con me!




20/06/2008 20:00:00 © riproduzione riservata






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